Il mito di Persefone: i luoghi dell’identità femminile.
di Grazia Maurizia Fiscella

 
Persefone, da fanciulla chiamata Kore, il cui significato è semplicemente “giovinetta”, nacque dal rapporto tra Zeus e la sorella Demetra.

Allegra e leggera, viene descritta come una

fanciulla dal volto di bocciolo, una splendida meraviglia (Kerényi, 1963, p. 192).

 

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  Della bellissima Kore, si innamorò Ades, fratello di Zeus e dio degli Inferi che con il consenso di Zeus e la complicità di Gea, la rapì.

In quell’infausto giorno, Kore giocava con le Oceanine presso il Lago di Pergusa nei pressi di Enna. Improvvisamente fu attratta da un bellissimo narciso, che Gea aveva fatto spuntare nel prato.

Tutti, dei e uomini, stupirono nel vedere quella pianta. Cento fiori spuntavano dalla sua radice, un dolce profumo si spandeva nell’aria, il cielo, la terra e l’acqua salsa del mare ridevano. La fanciulla stupita stese le mani verso quel fiore come verso un giocattolo o un tesoro (Kerényi, 1963, p. 193).

 

Racconta Karol Kerényi, sottolineando in Kore, gli atteggiamenti infantili e la curiosità tipica di età immature.

Improvvisamente il cielo si oscurò, un forte vento iniziò a soffiare e la terra si aprì in due. Dallo squarcio la giovane dea vide salire il carro dorato di Ades il quale, approfittando della lontananza della madre, la prese con violenza e la portò via con sé. (Cotugno, 1999, p. 42).

La fanciulla gridava e piangeva disperatamente, sperando che la madre potesse sentirla, ma quando 

oltrepassarono il limite degli orizzonti smise di invocare il suo nome (Kerényi, 1963, p. 194).

Così Ades portò quella fanciulla, che un attimo prima giocava

sui prati lussureggianti e coglieva fiori, rose e crochi, violette, iris e giacinti (Kerényi, 1963, p. 193)

nel regno dell’oscurità e la sposò contro la sua volontà. 

Demetra, dea della natura e della fertilità, non trovando la figlia, impazzì per la disperazione e, per nove giorni e nove notti, senza mangiare né bere, corse fino ai confini della terra, alla ricerca della figlia, invocando disperatamente il suo nome.

Non era a conoscenza del rapimento e

nessuno voleva dirle la verità, né uomo, né dio (Villani, 1987, p. 20).

Solo il decimo giorno, Ecate, la dea lunare, mossa a pietà rivelò alla madre di aver assistito al rapimento della giovane Kore, adesso divenuta Persefone, regina degli Inferi.

“Demetra, nostra signora, tu che apporti la maturazione e regali ricchi doni, sai chi rapì Persefone turbando così profondamente il tuo cuore? Io sentii la voce, ma non vidi il rapitore. Io ti direi la verità.” (Kerényi, 1963, p. 195).

Tacendo le due dee si recarono da Elios, dio del sole,

signore del cielo e investigatore degli dei e degli uomini (Cotugno, 1999, p. 43) che confermò l’identità del rapitore.

Demetra uscì di senno dalla rabbia. Scoprendo inoltre che lo stesso Zeus aveva acconsentito alle nozze, decise di vendicarsi contro gli dei e gli esseri viventi lasciando l’Olimpo e abbandonando i raccolti al freddo e al gelo. Continuò a vagare sulla terra impedendo agli alberi di produrre frutti, alle erbe di crescere e minacciando di lasciare per sempre la terra sterile se la figlia non le fosse stata restituita.

Passarono molti anni di carestia, al punto che l’umanità, sull’orlo dell’estinzione, non disponeva neppure di alcuna offerta o sacrificio e quindi non onorava più gli dei.

Zeus, preoccupato, mandò la sua messaggera Iris per cercare di spingere Demetra a ripristinare il ciclo delle stagioni ma a nulla valsero i suoi tentativi. Gli immortali vennero, a uno a uno, per colmarla di doni meravigliosi, ma ella non desiderava altro regalo se non la figlia adorata.

Allora Zeus mandò Hermes, messaggero degli dei, presso Ades per ordinargli di restituire Persefone alla madre.

Ades, inaspettatamente, acconsentì e, per renderle più confortevole il viaggio, le offrì alcuni frutti degli Inferi.

L’inganno era teso: lei non sapeva che si può abbandonare il Regno dei Morti solo se non si è cibati dei suoi frutti. Se si dovesse addentare uno di questi, si viene condannati a morte eterna.

Persefone, inappetente per il dolore, non aveva ancora mangiato nulla e solo allora, illusa dell’imminente ritorno a casa, si concesse sei semi di melograno.

Secondo altre interpretazioni, il frutto che nel mito stabilisce il contatto con il regno dell’oltretomba non è il melograno ma, a causa delle sue virtù narcotiche e psicotrope, è l’oppio, la cui capsula è peraltro straordinariamente simile (eccetto per le dimensioni, più ridotte) al frutto del melograno. (Wikipedia)

Quando Demetra poté riabbracciare la figlia, tale fu la gioia che d’incanto le terre rifiorirono di frutti e raccolti.

Ma Persefone aveva mangiato quei sei chicchi infernali…

Per impedire nuove carestie Zeus impose un accordo, per cui

visto che Persefone non aveva mangiato un frutto intero, sarebbe rimasta nell’oltretomba solo per un numero di mesi equivalente al numero di semi da lei mangiati, potendo così trascorrere con la madre il resto dell’anno. Così Persefone avrebbe trascorso sei mesi con il marito negli inferi e sei mesi con la madre sulla terra. (Wikipedia)

Il periodo di permanenza tra Inferi e terra è controverso, così come il numero dei chicchi ingeriti.

Jole Baldaro Verde riporta:

Ma Persefone aveva ingoiato alcuni chicchi di una melograna cresciuta nella terra degli Inferi. […] Fu così deciso che Persefone avrebbe trascorso tre mesi come sposa di Ades e regina degli Inferi e i restanti nove mesi sulla terra. (Baldaro Verde, 1987 p. 31)

Simile è la versione di Anna Cotugno:

Il signore degli Inferi […] concesse alla sua sposa di risalire sulla terra: prima di separarsi, subdolamente, senza che lei potesse accorgersene, le mise in bocca un chicco di melograno: quello era il legame che l’avrebbe vincolata per sempre a lui e al suo regno. (Cotugno, 1999 p. 44)

Analogamente a Villani, riferisce che la permanenza di Persefone insieme allo sposo, sarebbe stata minore di sei mesi.

L’atroce segreto fu svelato da Demetra alla figlia:

gli dei concedevano alle nostre ombre unite solo i 2/3 dell’anno. (Villani, 1987, p. 27)

A quel punto Gea, madre di tutti gli dei, pregò Demetra di

permettere che il frumento, donatore di vita, crescesse di nuovo. Demetra obbedì e lasciò che spuntasse il frutto nei campi pieni di zolle. L’ampia terra si coprì di una pesante massa di erbe e di fiori. (Kerényi, 1963, p. 222)

In ogni caso, Persefone avrebbe trascorso un certo tempo come sposa di Ades e regina degli Inferi, permettendo all’inverno di tornare, e i restanti mesi sulla terra, festeggiata dall’arrivo della temperatura mite, dai fiori, dai frutti e da tutte le meraviglie che la Natura sa risvegliare in primavera.

… Ecate le fu compagna inseparabile. Ecate, dea della luna nera e dei crocicchi, regnava sugli arcani e notturni regni dei fantasmi e dei demoni, della stregoneria e della magia. (Shinoda Bolen, in www.ilcerchiodellaluna)

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  Il triplice aspetto di Demetra, Persefone ed Ecate, rappresenta per Jung una

personalità sopra determinata (Jung, 1941, in Baldaro Verde, 1987 p. 29)

di cui ognuna delle tre figure costituisce un aspetto: la Madre, la Fanciulla e la Regina del Regno delle Ombre.

Come sposa di Ades, Ecate è preposta a tutti gli aspetti della morte.
Le tre figure simbolizzano quindi il percorso che ogni essere umano deve compiere e in cui Demetra ed Ecate rappresentano entrambe l’Inverno: inizio e fine della vita, tutto quello che è conosciuto e tutto quello che è ignoto, che non è soltanto la morte, ma il “lato oscuro dell’anima umana”. (Baldaro Verde, 1987, p. 29)

 

  La figura di Persefone che i reperti archeologici hanno trasmesso, tiene in mano una spiga: dal chicco di grano, seminato nella terra, nascerà una nuova spiga che verrà tagliata, al culmine dell’estate, perché il ciclo ricominci.

Nel simbolo dunque sono rinchiusi il passato, il presente e l’avvenire, inteso come continuità della specie che la donna assicura.  

 

  Il mito, secondo Baldaro Verde rappresenta così

l’identità femminile lungo il corso dell’intera vita in tutti i suoi ruoli. (Baldaro Verde, 1987, p. 5).

 

  Conformemente a tale tesi traccerò i momenti che, nel mito, definiscono il percorso dell’identità femminile, dalla tenera età alla tarda età, con i suoi effetti psicologici.

 

Nella prima parte del mito, Demetra e Kore sono l’una nell’altra, in un tenero rapporto simbiotico, in una dimensione fusionale non soltanto fisica ma soprattutto psicologica.

Benché sia una fanciulla Kore dorme ancora abbracciata alla madre e in tale intimità viene delineata da Vegetti Finzi:

mentre dorme tra le braccia della madre. (Vegetti Finzi, 1993, p. 89)

Entrambe sono l’una lo specchio dell’altra, il modello in cui ciascuna riflette la propria identità.

La psiche preesiste alla coscienza (per esempio nella bambina), da una parte partecipa alla psiche della madre, per l’altra parte trova un prolungamento nella psiche della figlia. Si potrebbe perciò dire che ogni madre contiene in sé la propria figlia e ogni figlia la propria madre, e che ogni donna si amplia per un verso nella madre, per l’altro nella figlia. (Jung, 1941, p. 230)

 

Tuttavia la Figlia deve separarsi dalla Madre per poter crescere

e questo avviene con l’aiuto di Gea che rappresenta la faccia positiva materna, la quale non soltanto deve favorire il distacco, ma permettere l’identificazione con lei. È Gea infatti che aiuta Ades nel ratto di Persefone, ma è sempre Gea che, intercedendo presso Demetra, ottiene che le venga restituita la figlia e che questa possa identificarsi con la madre: soltanto a questo punto la terra ritorna ad essere fertile chiudendo e riaprendo così il ciclo della vita. (Baldaro Verde, 1987, p. 29)

La necessaria separazione dalla madre per il raggiungimento dello stadio di donna adulta è simbolizzato, secondo Jole Baldaro Verde, dal melograno rosso che può rappresentare sia l’evento mestruale che il sangue della deflorazione.

Sono la mestruazione e la deflorazione che permettono alla figlia femmina l’identificazione positiva con la Madre-creatrice-di-vita e con la Madre-compagna-di-un-uomo. (Baldaro Verde, 1987, p. 31)

Villani mette inoltre in risalto lo stabilirsi del nuovo ruolo che la giovane acquisisce in conseguenza della sua crescita:

… il piano divino l’aveva rapita al suo stato candido e vergineo per conferirle un nuovo status, non più figlia, ma moglie, non più Kore-fanciulla bensì Persefone signora degli Inferi. (Villani, 1987, p. 20)

La separazione tra figlia e madre è un evento importante per entrambe nell’acquisizione delle proprie identità.

Entrambe dovranno fare i conti con le modificazioni fisiche ed entrambe dovranno separarsi l’una dall’altra.

La ragazza incentrerà la sua attenzione sulla perdita del corpo infantile e sull’avvento del corpo sessuato, sancito dalla ciclicità mensile. In tal senso il narciso riveste un aspetto simbolico, connotando, facendo riferimento a Freud, il narcisismo, l’amore per se stessi.

La madre dovrà accettare invece gli ineludibili segni di modificazioni fisiologiche ed estetiche e cominciare ad elaborare la futura perdita della capacità di generare.

È l’imporsi della menopausa che accompagna inevitabilmente la crescita dei figli e che comporta non solo il declino della bellezza fisica ma disforia e talvolta depressione.

 

La cosiddetta “sindrome del nido vuoto” è determinata dalla difficoltà delle donne a separarsi dai figli divenuti adulti e autonomi e dall’amara percezione del vuoto della propria dimora, analogamente al “vuoto” del propri organi riproduttivi.

Simbolicamente è come uno sprofondare nel mondo degli Inferi, un’immergersi tra gli strati più profondi della psiche, nel luogo dove giacciono sepolti ricordi di tempi trascorsi e sentimenti passati, nell’inconscio personale.

Tuttavia ogni donna, prima o poi, sarà in grado di ritornare dagli Inferi sulla terra. Autonomamente o aiutata da chi conosce il mondo inconscio e può farle da guida, saprà dare ai cambiamenti legati all’identità femminile, una risposta adeguata e ristrutturare in maniera positiva il proprio Sé. La donna dovrà essere capace di modificare quella che era e risorgere completamente rinnovata, operando una mediazione tra ciò che era da ragazza e ciò che è attualmente, integrando entrambi gli aspetti nella personalità. Dovrà iniziare una nuova vita.

 

Nel mito, a mio avviso, il passaggio è rappresentato da Ecate, divinità psicopompa, in grado di viaggiare liberamente tra il mondo degli uomini, quello degli dei e il Regno dei Morti.

Ecate, che come ho già detto,

rappresenta l’Inverno: inizio e fine della vita, tutto quello che è conosciuto e tutto quello che è ignoto, che non è soltanto la morte, ma il “lato oscuro dell’anima umana”. (Baldaro Verde, 1987, p. 29)

 

  Concludo con una consolante citazione di Jung:

[…] è un grosso errore supporre che il significato della vita si esaurisca con la giovinezza e con la fase di espansione, che una donna per esempio sia finita quando sopraggiunge la menopausa. Il meriggio della vita umana è ricco di significati quanto il mattino; ma sono significati e prospettive completamente diversi. (Jung, 1916, in Baldaro Verde, 1987, p. 33)



BIBLIOGRAFIA

 

Baldaro Verde, Jole - 1987 - Donna, Maschere e Ombre-Ontogenesi dell’identità femminile. Raffaello Cortina Ed.

Cotugno, Anna - 1999 - Dal legame madre-figlia alla relazione terapeutica donna-donna. Meltemi Editore

Jung, Gustav -1941 - Aspetto psicologico della figura di Core. (In Opere, vol. 9, Bollati Boringhieri, 2008)

Kerényi, Karol -1963 - Gli dei e gli eroi della Grecia. Il Saggiatore

Schinoda Bolen, Jean -1991 - Le dee dentro la donna. Astrolabio Ubaldini

Vegetti Finzi, Silvia -1993 - Il bambino della notte. Divenire donna, divenire madre. Mondadori

Villani, Tiziana -1987 - Demetra. Mimesis Editore

Wikipedia (Mito di Persefone)

www.ilcerchiodellaluna.it (Persefone)

INDICE SOMMARIO
IL MITO
I SIMBOLI DEL MITO
LA FIGURA DI PERSEFONE
SIGNIFICATO DEL MITO
L’IDENTITA FEMMINILE
CONCLUSIONI


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