Il Popolo di Colapesce — il popolo dei CLEMM

Colapesce CT 1979 Tra le tante leggende della Sicilia, belle, intriganti, ricche di significato e varie -come vario è il suo Popolo- ma Colapesce CT 1957pure complicate da controverse e diverse versioni e da capziose interpretazioni -come, da sempre, capzioso vario e controverso è considerato il suo Popolo-… una, sin da giovanissimo, mi ha particolarmente interessato e appassionato: la Ligenna di Colapisci.


Negli anni, crescendo in età e maturando in esperienza e contatti con i Siciliani, con la gente e le Genti, i linguaggi e i costumi, i modi di dire popolari e i modi di fare, gli usi e le tradizioni civili e religiose, la saggezza aforistica e l’atavica cultura, la voglia di riscatto di dignità e la rassegnazione, il senso pratico e l’innato fatalismo… con l’affinare i miei studi, interesse e passione si sono amplificati di pari passo con conoscenze e consapevolezza etnografica.

Leggendo della Sicilia e dei siciliani quale frutto della millenaria storia e degli avvenimenti che, legati alle conquiste plurisecolari che ne sono stati il seme, hanno sempre influenzato il vivere di questo Popolo, d’un canto, e spesso, dall’altro, ne hanno condizionato l’altrui considerazione … e ne ho saputo conoscere e apprezzare l’intima natura.

Il Popolo siciliano, per quanto storicamente dominato, ha saputo subire ma pure trarre dalle varie Culture quanto al meglio potesse giovare per la sua sopravvivenza (dall’agricoltura alla gastronomia…), ha saputo cogliere dal suo Ambiente ogni ispirazione e coltivare con eccellenza ogni tipo di Arte, ha saputo accettare e adeguarsi ma anche ribellarsi alle più gravi ingiustizie (dalla feroce cacciata dei Francesi dei Vespri nel 1282 ai tragici “Fasci contadini e operai” del 1891-1894)… mi ha offerto la lettura della naturale voglia di far valere la propria dignità e la giustizia sociale.

Nell’approfondire le tradizioni della Sicilia e i canti e le danze popolari, mano a mano, perfezionavo la mia consapevolezza delle genuine realtà dei suoi abitanti e di questa Terra, contestualizzandone ogni connotazione al periodo storico, fino al “Regno delle due Sicilie” e alla “Unità d’Italia” e leggendone fuori dagli stereotipi -troppo spesso negativi del carattere di questo Popolo- e fuori dal mero folklore -anch’esso isolato da superficiali considerazioni dell’indole degli Isolani- conoscendone e riconoscendone lo spessore folclorico… mi sono innamorato della sua geografia antropica e culturale, anche grazie al messaggio che ho colto, personalmente, dalla Leggenda di Colapesce.

La Ligenna di Colapisci, nel contesto delle componenti tutte dell’Ambiente (sensu lato), mi ha fatto riflettere sui tanti aspetColapesce CT 1957ti del mio studio, sull’attenzione e sulla disattenzione per questa Terra e sull’evoluzione (direi involuzione nel considerarne obiettivamente l’oggi) nell’Isola dello sfruttamento delle sue risorse territoriali e umane (come già fu il cieco disboscamento indiscriminato o come dimostra la debole considerazione dei suoi tanti Geni culturali in ogni Arte e Scienza a fronte della preminente esaltazione della “cultura mafiosa”).

Così, ricordando la Leggenda e il pathos del testo, pur con opportuni distinguo interpretativi, ho considerato -ora per allora- con seria attenzione le realtà del Popolo di Sicilia, di un tempo e di oggi.



Già il nome Colapesce o Cola Pesce (del Nicola protagonista della nostra leggenda) è frutto, nella cultura isolana, del riferire all’essenziale rilevante il riscontro di una realtà; esso è un pecco, ossia un soprannome che identifica una persona in rapporto a sue precipue caratteristiche:

La genti lu chiamava Colapisci, picchì stava nto mari comu a n pisci…

(“le persone lo chiamavano Colapesce perché era legato al mare come fosse connaturato con esso”) recita il testo di un antico canto popolare siciliano [2], una delle tante versioni tradizionali legate alla Leggenda, dando riscontro della capacità di sintesi e filosofia naturale nell’interpretazione oggettiva.

La visione del potere dello Stato, tramite gli Amministratori del tempo, la loro funzione sociale e la considerazione del loro operato da parte degli Amministrati, nonché il comportamento degli uni e degli altri, si coglie nei brani da quando il re preoccupato della sorte del regno chiede a Colapesce:

“… lu me Regnu scanngghiari supra chi funnamenti si susteni”.

La richiesta del sovrano («verifica su quali basi si sostiene il regno»), sempre interpretando la Poesia nell’antico testo, rende evidente la concezione della serietà e dedizione di un mandato politico (da polis greca) del re a servizio dei suoi Sudditi.

I concittadini di Colapesce, al subito accorrere del suddito del loro regno, sono consapevoli della sua responsabile e totale disponibilità e del suo determinato attivarsi nell’esigenza che coinvolge tutti:

Colapisci curri e va!

(“Colapesce corre e provvede”) affermano, sicuri del suo impegnarsi che è confermato dalla pronta risposta di lui al sovrano:

Vaiu e tornu Maistà” («vado e riferisco») dimostrandogli piena fiducia nell’impegno etico, naturalmente condividendolo.

Maistà li terri vostri stannu supra tri pilastri e lu fattu assai trimennu: unu già si sta rumpennu” («Maestà le Vostre terre poggiano su tre pilastri di cui uno è in procinto di rompersi») è la risposta di Colapesce che, da suddito, si dimostra consapevole del terribile destino che si paventa.

Il popolo partecipa l’intensa preoccupazione del re:

Oh! Distinu miu nfilici, chi svinturi mi pridici!” («Oh! Mio infelice destino, quale sventura mi predici») e si rende conto della sua angoscia: “Chianci u Re!” e della sua disperazione: ”Comu aju a fari?” («piange il re!» confessando: «non so che fare») dando dimostrazione dell’amorevole e responsabile attenzione di un Amministratore che si sente impotente nella situazione che minaccia il regno e i suoi Amministrati.

Il re si rivolge ancora a Colapesce:

“… sulu tu mi po’ salvari!” («solo tu mi puoi salvare») riconoscendo, in quella realtà temporale e sociale, all’umile cittadino una”eccellenza”.

Colapisci curri e va!”, Colapesce torna in fondo al mare e risponde ancora all’invocazione e alla stima del sovrano:

Maistà sugnu ca, nta lu funnu di lu mari … staiu riggennu la colonna ca si nò si spizzerà e a Sicilia sparirà” («sono quaggiù in fondo al mare, a reggere la colonna ché altrimenti si spezzerebbe e la Sicilia sparirebbe») così dando evidenza, in quell’emergenza, della sua coscienza sociale, della disponibilità altruistica, da semplice cittadino che accorre alla disperazione del suo sovrano e, responsabilmente, al destino che incombe sulla loro Terra; nello spirito di sacrificio proprio dell’indole siciliana.

Il sovrano insieme alla consorte sono trepidanti in attesa:

lu Rignanti e la rigina l’aspettunu a marina” (“il Re e la Regina l’aspettano al porto”) attendendo, insieme al popolo, non affatto nel palazzo del potere.

Quel popolo, nella naturale considerazione del tempo, sempre attraverso le parole del testo della Leggenda, è consapevole, come lo stesso loro sovrano, del ruolo che Colapisci poteva svolgere per salvare l’intera Nazione ed esalta anche il ruolo del costernato amministratore che, quale massimo curatore, si dimostrava responsabile.

Infine, la visione del potere della Chiesa è evidente allorché il popolo, cosciente della triste realtà, coralmente, si affida alla religiosità invitando il re (e la regina, perché nel vernacolo siciliano, pur ossequioso, non c’è la distinzione tra maschile o femminile o tra singolare o plurale):

Vui priati la Madonna” («pregate la Madonna») è l’estrema esortazione e, dunque, nella consapevolezza collettiva che, “passati tanti anni”, il loro eroico concittadino “è sempri dà” (“sempre laggiù”) continuando con dedizione a sostenere l’equilibrio traballante dell’Isola che sprofonderebbe… salvandola e salvandoli.



Colapesce è a tutt’oggi in fondo al mare sostenendo la Sicilia, salvandola e salvando gli Isolani (a parte considerare i disastrosi terremoti, che la fantasia popolare di allora potrebbe riferire allo sgranchirsi di Colapisci, ma che, con una considerazione personale, riferirei allo scrollarsi di dosso i pensieri che gravano nelle attuali negatività sociali).

Con la mia visione complessiva delle componenti dell’Ambiente -dalle antropiche alle naturalistiche, dalle culturali alle sociali- ritengo che, oggi, il nostro Colapesce sia provato più dall’onere di un significante impegno di vero sostegno al Popolo e alla Terra cha dal peso fisico dell’Isola.

Nel contesto della genuina coscienza popolare che si ricava da questa annosa leggenda (risalente al XII secolo, ma, secondo alcuni studiosi, molto molto più antica) potrebbe leggersi la considerazione, con quella di una vita semplice e genuina e di un mondo sereno e condividente, di un rapporto idilliaco, per quanto subordinato, dei Cittadini col Potere.

Nel conteso dell’odierna situazione dell’Isola e degli umori degli Isolani potrebbe effettivamente leggersi l’illusione che il sacrificarsi di Colapesce fosse a oggi servito a qualcosa e che il messaggio di condivisione e di sostegno fosse stato utile quantomeno per sollecitare serie riflessioni sia da parte di Amministratori chiamati a gestire territorio e Popolo di Sicilia sia da parte degli Amministrati; ossia per tutti gli uomini di buona volontà in qual sia maniera chiamati a essere utenti dell’Ambiente, per se stessi e per l’Umanità.

Il Popolo di Sicilia oggigiorno, in una realtà amministrativa di formale autonomia ma di sostanziale sudditanza, in una realtà Colapesce CT 1979vessante nella larga conversione della cultura contadina in quella industriale, in una realtà castrante delle valenze paesaggistiche e turistiche, già disequilibrata con insediamento di poli inquinanti proprio nelle aree di esclusive risorse archeologiche dell’Isola, in una realtà da tempo depauperata del patrimonio boschivo e depauperante di risorse idriche con la piantumazione boschiva non autoctona… rimane martire di una superficiale, speciosa -allorquando non speculativa- visione delle realtà.





Colapesce è per me l’allegoria dell’intero Popolo di Sicilia (uno per tutti), cioè di quanti oggi si attivano altruisticamente e mettono a disposizione, un sostegno epocale per una società che sta per esser sommersa.

Mi riferisco in particolare al Progetto di “Nuovo Umanesimo”, che propugna il COEMM (Comitato Organizzatore Etico per un Mondo Migliore) attraverso i CLEMM (Circoli Locali Etici per un Mondo Migliore) che volontaristicamente lo rappresentano e sostengono (un popolo già di molte migliaia di sane anime in Sicilia e di “oltre centomila” in tutt’Italia)… altrettanti Colapesce.

Dunque essi, nel traslato della leggenda, rappresentano il Popolo di Sicilia contemporaneo, ma anche la visione del potere di tutti i cittadini; essi, popolo alacremente ed eticamente intento alle sue normali occupazioni per superare ogni difficoltà (e sempre più preoccupato per la sua sopravvivenza); il re e la regina potrebbero essere gli odierni Amministratori della res pubblica sociale (pur se, in tanti, oggi, non proprio molto interessati all’avvenire della loro Terra e, quasi tutti, ben lontani dal dar riscontro della dignità che meriterebbero i “sudditi”). La colonna che pericolosamente traballa è la realtà civile che questo Popolo, insieme a quello del “continente”, vive (e che sempre meno civilmente li fa vivere) soffrendo nello sperequato disequilibrio fra costi e benefici di ogni loro quotidianità nella società. Infine, la religiosità, tanto forte all’epoca del leggendario Colapesce, è oggi la fede con cui ancora essi si affidano alle Istituzioni (pur se con sempre più attenti distinguo per il politichese e i Politici di partito e sulla loro reale attenzione a un’equa politica sociale).

Ciascuno di questi moderni Colapesce, per molti versi “eccellenze” nel campo d’interesse sociale e tecnico scientifico, sollecita il Potere; essi, Popolo sempre più gravato da pesi e da imposizioni disequilibranti la già grama quotidianità, se non la stessa dignità, anche in ossequio al sacrificio del leggendario eroe, hanno voglia di una pacifica ribellione per far sì di non esser sommersi dal mare di abomini e d’iniquità dei conquistatori di turno, partecipando con fede… armati di Etica e Altruismo, con riservatezza, sforzandosi di far comunicazione e partecipando a una sana Formazione della coscienza di sé e del valore civico.

Così, novelli Colapesce, colonne a sostegno di una vita civile, in oltre “centomila condividono un Progetto e il concetto” fondante del Progetto COEMM, nelle sue sane regole etiche e altruistiche, squisitamente naturali e amorevoli, sono “intenti a far notizia e condividere sinergia sociale e una Buona Comunicazione” e a discutere attentamente insieme (raggruppati nei liberi circoli culturali del CLEMM) “Temi per un Mondo Migliore[4]; essi sono sostenitori della vitale importanza del contributo di ognuno per la sopravvivenza di ciascuno e di tutti.

In ogni città d’Italia, da quelle Metropolitane ai più piccoli Comuni, si sono riuniti in undici, come una squadra di calcio, un “Capitano” e dieci giocatori (persone Ospiti dei “Salotti culturali” dei CLEMM), dibattendo fra loro, almeno una volta al mese, gli stessi argomenti sociali e civili; essi partecipano insieme, coesi, allo stesso campionato, non godendo d’ingaggi o di remunerazioni o di “premi partita” milionari, concorrendo al premio finale la cui coppa del Mondo sarà il raggiungimento, a beneficio di tutti, di una Migliore Società e di un minimo di “dignità” per ciascuno.

Il popolo dei CLEMM confida da parte di chi gestisce le strategie tutte del nostro Stato nella possibilità di un viver decoroso, innanzitutto, e in un elementare, naturale, diritto di dignità, acquisibile anche grazie a un “quid” economico, quale simbolico fondamentale riconoscimento gratificante (che, legittimamente, gli sarebbe già dovuto); diritto che altre Nazioni, anche non per niente più civili o più industrializzate, pur in forme differenziate hanno riconosciuto (la Libia di Gheddafi, per esempio) e, in varie forme, attivato (Canada, Stati nord-europei, parte dell’India…) da tempo.

Un Colapisci della nostra leggenda, per la visione a sostegno di un equilibrio fra costi e benefici sociali di uno Stato attento ai Cittadini, lo potremmo identificare con il contemporaneo Maurizio Sarlo (uno con tutti) che, nel nostro tempo, da pluridecennale esperto economista e fautore del Progetto COEMM & CLEMM, tale visione propugna. Peraltro, dal ruolo leader, da Capitano-CLEMM, nel quale s’impegna (piuttosto che identificarlo con la figura ben poco credibile di un Amministratore contemporaneo) lo assimileremmo quale moderno leggendario re responsabile, amorevole e attento, come in tempi di repubblica e democrazia dovrebbe essere ciascun cittadino di ogni Popolo: attento alla sopravvivenza del suo Regno e dei Sudditi che con lui lo condividono, della sua Nazione nel Mondo e di se stessi nella sua Terra.

Un Colapisci, ciascun Colapesce del Popolo di Sicilia e degli altrettanti di tutta Italia (tutti per uno), ambisce che, nelle attuali contingenze, per naturale nobilitazione e per i suoi obiettivi sacrifici, gli sia riconosciuta un’equilibrata possibilità di sereno vivere e, quantomeno, di esprimere liberamente i suoi pensieri e agire legittimamente di conseguenza, senza imposizioni vessanti e anacronistiche, nonché gli sia permesso un pur piccolo suo attivo ruolo perché è importante nell’equilibrio vitale di tutti (“ogni ficateddu i musca è sustanza” dell’atavica saggezza popolare siciliana che considera: “ogni pur minimo apporto nutritivo [come il “piccolissimo fegato di una mosca” N.d.R.] è sostanzioso”).

Infatti, combattendo con etica, altruismo, amore, onestà, passaparola amicale, buona comunicazione, democrazia e meritocrazia, si conquisterebbe quel Mondo Migliore, vessillo del COEMM Internazionale (ma già, prima della sua fondazione quale filosofia -sin dal 1948- del gesuita Riccardo Lombardi: il “Microfono di Dio” della Chiesa Cattolica), per sostenere una società che deve essere serena e civile a ogni livello per ciascuno e per tutti…

Ecco perché io mi sento Colapesce!

S. Cantastorie

[SQ#11 /2°-2017]

[1] Opera dell’artista Domenico (Mimì) Lazzaro del 1957 su progetto dell’arch. Vincenzo Corsaro, Colapesce è una delle quattro figure della base del monumentale candelabro artistico in bronzo che, nella zona sud est di piazza Università a Catania, rappresenta “La leggenda di Cola Pesce”.

[2] Le parole sono tratte da “A liginna di Colapisci”, antico canto folclorico nell’interpretazione del gruppo folk-culturale “Figli dell’Etna” di Rita Corona (1912-2012), musicato dal padre, l’etnomusicologo catanese Gaetano Emanuel Calì (1885-1936).

[3] Opera dell’artista G. Pellegrino del 1979 al centro della piazza Della Repubblica a Catania.

[4] Come disquisiremo nelle prossime occasioni di mie disquisizioni che, riguardo le argomentazioni evidenziate, proporrò ai Lettori.

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